La comunità cinese in Italia, tra nostalgie e innovazioni

La Cina è, da sempre, terra affascinante, che solletica l’immaginario. Uno spazio enorme, lontano e distante non solo nel chilometraggio ma anche nei paradigmi culturali e societari. Spesso, quando si considera distrattamente una collettività, senza la dovuta preparazione, può capitare di valutarla uniformemente, come se non fosse anch’essa composta da individualità ma da una massa.

Giulio Gasperini, referente comunicazione del progetto Vivere in Valle d’Aosta, finanziato dal Fondo Asilo, Migrazione ed Integrazione (FAMI 2014 – 2020), ha recentemente intervistato la Dott.ssa Stefania Stafutti, Professoressa ordinaria in Lingue e Letterature della Cina e dell’Asia sud-orientale all’Università di Torino e direttrice di parte italiana dell’Istituto Confucio, riguardo al docu-film.

Il documentario “Cinesi in Italia. Testimonianze e materiali di ricerca” raccolti dall’Istituto Confucio dell’Università di Torino in collaborazione con “Dialogo”, presentato il 23 novembre 2020 nell’ambito della Notte europea delle Ricercatrici e dei Ricercatori 2020 permette, all’opposto, di gettare sguardi diversi e più consapevoli sulla cultura e sul popolo cinese, in particolare sulla comunità che abita in Italia.

Il lavoro, attraverso interviste raccolte fra Torino, Milano, Firenze, Prato, Roma, Napoli, Bologna e Trieste, vuole essere un contributo a una migliore conoscenza della presenza diversificata, attiva e spesso socialmente attenta e partecipe dei Cinesi nel nostro paese. Presta particolare attenzione alle generazioni più giovani, senza perdere d’occhio la stratificazione delle diverse esperienze a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso. Il lavoro è stato possibile grazie alla  collaborazione attiva della chat sino-italiana “Dialogo” e vuole essere un punto di partenza che stimoli allo studio e alla ricerca. Nel contempo, il documentario si rivolge alla società intera e a tutti coloro che vivono in Italia, italiani e stranieri, cinesi e non, per riflettere sul nostro ruolo di cittadini in questo paese, a prescindere dai passaporti.

Dall’intervista riportata di seguito, ne è venuta fuori una rappresentazione che, seppur nella sua inevitabile parzialità, disinnesca gli stereotipi e aiuta a superare i preconcetti avvicinandoci, per quanto possibile, alla variegata multiformità, persino un po’ ipnotica, che caratterizza la cultura e la società del popolo cinese, principalmente della comunità che vive nel nostro paese.

 


a cura di Giulio Gasperini


 

“Buongiorno professoressa Stafutti e grazie per aver accettato di rilasciarci questa piccola intervista. Inizierei subito chiedendole come avete scelto le persone che sono state intervistate per questo documentario. È stato facile convincerle o avete trovato delle resistenze?”

“Non le abbiamo esattamente scelte noi, ovvero noi abbiamo ragionato sul tipo di persone che avremmo voluto intervistare: volevamo che ci fosse una rappresentanza significativa di giovani, dislocata in luoghi diversi del paese, quindi non soltanto a Milano e Torino. Questi sono stati i due criteri principali di scelta. Volevamo anche presentare una testimonianza di tipologie diverse dal punto di vista antropologico, ovvero non tutte persone attive in un unico settore di lavoro. L’idea è stata quella di chiedere un coinvolgimento agli stessi operatori cinesi: coloro che hanno girato e fatto le interviste sono persone cinesi. Abbiamo scelto di fare questo per abbattere un muro inevitabile che si innalza tra intervistatore e intervistato soprattutto nel caso in cui l’intervista si basi su un’indagine dell’“identità”. Se io sono italiana e tu sei sino-italiano o di nazionalità cinese dal punto di vista della cittadinanza, ma nato in Italia, è chiaro che si possano attivare molti più filtri, rispetto alla situazione in cui entrambi si riconoscono in un’appartenenza cinese che va oltre al semplice fatto del passaporto diverso: si stabilisce un altro tipo di empatia ed è molto probabile rintracciare e ritrovare delle esperienze comuni. Noi italiani abbiamo fatto un passo indietro; abbiamo lavorato sempre insieme, italiani e cinesi, nel backstage, parlandoci, confrontandoci, vedendo i materiali, ma non siamo mai stati noi italiani ad andare direttamente a intervistare.”

 

“Wu Xiujun, presidente dell’Associazione italo-cinese di Torino, racconta nella sua intervista degli attraversamenti delle frontiere da parte dei cittadini cinesi. Si parla effettivamente molto poco di questo aspetto. Com’è la situazione dei flussi migratori cinesi al momento? Com’è cambiata nel tempo?”

“Questo è un fenomeno oramai ampiamente superato, dopo esser stato significativo negli anni Ottanta. I flussi migratori cinesi verso l’estero sono sostanzialmente insignificanti, attualmente. C’è una migrazione interna, anche se meno significativa oggi di quanto fosse all’inizio del XXI secolo, quando ci fu il famoso ed enorme fenomeno dell’inurbamento: le città iniziarono ad avere, per la prima volta nella storia della Cina, un numero di abitanti superiore alle campagne. Adesso è un fenomeno che continua ma con ben altri numeri, si è rallentato. Flussi significativi di immigrazione cinese in Europa non esistono più. Gli stessi rapporti commerciali, intensificatisi negli anni, non necessariamente incidono sui flussi migratori, nel senso che le migrazioni, anche quelle cinesi, provenivano da diverse aree del paese, anche in momenti diversi, ma riguardavano persone che sostanzialmente cercavano maggior fortuna, senza essere toccate né condizionate dalle grandi dinamiche degli scambi internazionali; sono due fenomeni sostanzialmente separati.”

 

“He Xiaohong, socia fondatrice dell’Associazione Futuro Domani, racconta di come la famiglia decida di mandare la sorella all’estero, sottolineando una pianificazione familiare di un percorso migratorio. Lei dice che “tutti i cinesi si portano la Cina nel cuore” e che “tutti sentono che le proprie radici affondano in Cina”: com’è profondo il legame che unisce i cittadini cinesi alla madrepatria? È un sentimento diffuso come dice He? Qual è il rapporto dei cinesi con le radici?”

“Per quello che vedo, non essendo io cinese, la situazione è oramai estremamente variegata; non mi sentirei di sottoscrivere completamente l’affermazione per la quale “tutti i cinesi portano la Cina nel cuore” se questo significa che quello è l’orizzonte quasi onirico di riferimento al quale tutti i cinesi vogliano tornare. Oramai ci sono dei cinesi di seconda o terza generazione che sono appunto sino-italiani; certo, magari hanno un legame con il loro paese, con quello dei loro genitori, in sostanza, perché indubbiamente la famiglia è ancora un punto di riferimento molto forte in Cina, essendo il paese nel quale sono probabilmente, ma non necessariamente, andati da piccoli; ma oramai i cinesi di terza generazione sono nati qui o sono venuti via talmente piccoli che questa memoria è una memoria di sponda che viene dai racconti familiari. C’è un indubbio legame ma è molto diverso da generazione a generazione. Sottoscriverei, invece, senza alcun dubbio, un’affermazione del genere se fosse collegata a cinesi di prima generazione o a molti di seconda. Per i giovani cinesi di oggi, sino-italiani, sarei più cauta. In questo caso, un’affermazione così totalizzante non descrive esattamente la situazione così com’è attualmente, anche se certamente la Cina rimane un orizzonte importante. Per i cinesi più giovani, quelli che magari hanno studiato, frequentato l’università, si sono laureati in Italia, l’orizzonte immediato è l’Italia, non la Cina.”

 

“Ci sono molti e molte giovani artisti/e in questo documentario, da Hu Yujia a Susanna Yu Bai: pare ci sia un grande fermento artistico tra i giovani cinesi in Italia. Come viene vissuto questo nella comunità? Qual è la situazione attuale della cultura cinese?”

“È una situazione molto vivace, soprattutto in alcune zone d’Italia. Ci sono luoghi dove i cinesi, soprattutto giovani, sono più numerosi e presenti da più tempo. Una di queste è Milano, dove vivono e lavorano giovani registi, uno dei quali è intervistato all’interno del video: Xin Alessandro Zheng ha partecipato al Festival del cinema di Venezia, con un brevissimo ma molto interessante docu-film che racconta la storia di chi lascia il paese; lui è italiano con però un forte legame con il passato della sua famiglia. Anche Susanna Yu Bai si occupa di cinema ed è una delle persone coinvolte nella realizzazione del documentario. Anche quella di Prato è un’altra comunità molto vivace, molto complessa ma culturalmente dinamica, all’interno della quale sono stati fatti molti esperimenti di teatro sociale: Shi Yang Shi, che è uno degli intervistati e ogni tanto compare anche in TV, nasce dal teatro sociale di Prato. È un mondo che ancora non emerge abbastanza, sui media mainstreaming e altrove, forse anche per nostra disattenzione, ma è molto dinamico ed esuberante, soprattutto in alcune realtà. Ci sono oramai anche molti scrittori e scrittrici cinesi che scrivono direttamente in italiano: un esempio è il testo Semi di te di Lala Hu – sul modo in cui i cinesi hanno affrontato la pandemia in Italia; un altro è Cuore di seta di Shi Yang Shi. Vale inoltre la pena di citare il lavoro di Hu Lanbo, che dirige la rivista Cina in Italia, sempre piuttosto attenta a non discostarsi dalle posizioni ufficiali del governo, ma comunque attiva nella promozione del dialogo tra le due culture, o ancora, le numerose graphic novels: Marco Wong con le storie della sua giocatrice di ping-pong Mei Lin, che vive a Prato e le cui vicende sono state raccontate in italiano e poi “ritradotte” in cinese dagli studenti italiani dell’Università di Torino, o Matteo Demonte (sino-italiano di terza generazione) e Ciaj Rocchi, che a loro volta lavorano proprio sui temi della “identità” dei cinesi in Italia ripercorrendo la storia di questa migrazione in Primavere e autunni e in Chinamen, i quali, nello scorso novembre, hanno licenziato per i tipi di Solferino la loro ultima fatica, La macchina zero. Mario Tchou e il primo computer Olivetti riportando alla luce la straordinaria storia dell’ing. Mario Tchou, ingegnere della Olivetti che ebbe un ruolo fondamentale nella creazione del primo computer italiano (e forse mondiale). Gli artisti che operano in Italia normalmente hanno una formazione che si è consolidata qui, non necessariamente hanno la cultura o le forme artistiche cinesi come riferimento; hanno gli stessi riferimenti di altri giovani artisti, sono molto più globali, non sono etnicamente connotabili, quantomeno gli artisti giovani. Non si assiste di necessità a una esplicita rilettura delle forme artistiche cinesi in quanto artisti sino-discendenti: c’è, invece, una circolazione di idee e di suggestioni artistiche che provengono dalla Cina così come da altri paesi e culture.”

 

“Nel documentario ci sono anche due coppie omosessuali, una gay, quella di Shi Yang Shi e Angelo Cruciani, e quella lesbica di Yao Jili e Benedetta Renier (autrice del libro autobiografico Diecimila chilometri più in là): com’è la situazione in Cina e nella comunità cinese rispetto all’orientamento sessuale e, in particolare, verso le coppie omosessuali?”

“Da quello che traspare sui giornali si può rilevare un sicuro irrigidimento, ma che è complessivo della società cinese in questi ultimi anni, in ogni ambito. Fino ancora al primo decennio del XXI secolo c’erano locali, almeno nelle grandi città, punti di incontro gay noti a tutti, non underground; nelle grandi città il fenomeno era “tollerato”, forse un po’ contrabbandato come un fenomeno di costume più che come una scelta di orientamento sessuale. Fra la gente comune credo che alberghino gli stessi pregiudizi che albergano altrove: ne abbiamo anche noi, qui in Italia, delle testimonianze evidenti come nelle recenti vicende parlamentari. Tra i giovani, soprattutto nelle grandi città e tra gli studenti, si rileva un atteggiamento molto tranquillo, in generale. Magari è presente un conformismo di facciata ma direi che in questo la Cina è molto cambiata: negli anni Ottanta l’omosessualità era decisamente negata, e fino quasi all’inizio del XXI secolo era considerata una disfunzione mentale, una malattia. Questo sul piano formale è cambiato; sul piano sostanziale, basandomi soprattutto su fonti occidentali ma anche sulle testimonianze di amici e persone delle quali non ho motivo di dubitare, posso dire che ci sia una stretta e un ritorno al passato: i locali sono stati chiusi, nelle università non è possibile avere iniziative esplicite connotate in senso di genere “trasgressivo” che non sia il genere com’è tradizionalmente formulato, o di orientamento sessuale. I giovani cinesi in Italia sono abbastanza tranquilli come sono tranquilli i giovani italiani, al netto di quelle frange che tranquille non sono ma per le quali la discriminante non è etnica ma culturale-ideologica. Bisogna sottolineare, però, come sia nata in Cina una nuova sensibilità per le tematiche di genere, soprattutto femminile; ha fatto scalpore in Cina, proprio pochi giorni fa, apparsa sui social cinesi e subito bannata, la notizia della tennista Peng Shuai, che ha denunciato Zhang Gaoli, allora vice primo ministro e membro del Comitato permanente del Partito Comunista Cinese per un fatto di violenza sessuale, avvenuta anni prima. Questa denuncia si colloca sull’onda del movimento #MeToo che anche in Cina ha avuto un’eco importante. Le tematiche di genere, nonostante compaiano in maniera marginale sui social media, sono ben presenti nella società cinese, tanto che nel 2015 è stata finalmente promulgata una legge sulle violenze domestiche, fino a quella data non contemplate nella legislazione cinese. Qualcosa, insomma, si sta muovendo ma per quanto riguarda i diritti riconosciuti al mondo LGBTQ+ direi che non ne esistono.”

“Mi veniva in mente la notizia di un’università in Cina che aveva cominciato a chiedere i nomi delle persone LGBTQ+ che stavano frequentando l’università…”

“So a quale notizia si riferisce: questo è possibile ma escluderei che la ragione formale, almeno, sia quella di una schedatura di un gruppo sociale per ragioni direttamente collegate all’orientamento sessuale. In Cina la costituzione di gruppi di società civile, strutturati, fuori da quelli normalmente presenti nella società, è sempre problematica. Certamente l’elemento LGBTQ+ può aver contato ma sarebbe accaduto probabilmente anche se fosse stato un gruppo di altro tipo, che si costituisce fuori dai soliti schemi, o dai canali comunemente utilizzati. In genere, quando questo accade, nasce subito una certa preoccupazione che è sicuramente aumentata negli ultimi anni.”

“Il documentario si chiude con una doppia intervista a Teresa Lin, imprenditrice e consigliera comunale di Prato, e alla sorella Ketty Lin, stilista. Sono due sorelle cresciute in due modi diversi: una rimasta in Italia e una mandata in Cina, a studiare, quando era piccola. Loro raccontano che si sono conosciute solo quando Teresa, la più grande, ha tre anni e torna in Cina, senza aver mai saputo prima dell’esistenza della sorella. In questo caso le domande sono due: la prima riguarda l’importanza di una rappresentanza politica dei cittadini cinesi, in Italia, e più in generale delle cosiddette Seconde generazioni: quanto sarebbe importante e indispensabile?”

“Sarebbe importante una rappresentanza politica di tutti i cittadini che, lavorando in questo paese, pagano le tasse, indipendentemente dalla loro origine, dalla loro etnia, e anche dalla loro generazione. In questo noi, in Italia, siamo terribilmente indietro perché gli “stranieri” nelle nostre istituzioni sono pochissimi mentre gli stranieri presenti in Italia non sono così pochi. Questo è un problema molto ampio e che ha a che vedere anche con l’atteggiamento rispetto a religioni, culture e provenienze diverse. Non possiamo, ad esempio, far finta che religioni diverse non esistano, non possiamo considerarle come religioni di serie B, non possiamo guardarle sempre con sospetto; dovremmo magari cercare di conoscerle meglio, di confrontarsi. Il problema della rappresentanza è un problema grosso che il nostro paese non si è posto con sufficiente serietà. E questo non riguarda solo i cinesi.”

“La seconda domanda riguarda le modalità culturali di educazione dei figli. Molte testimonianze del video parlano della pratica di mandare i bambini piccoli a studiare in Cina, per non far perdere il legame con le radici, e parlano anche dell’inevitabile aiuto che i bambini davano ai genitori nelle loro attività commerciali in Italia, specialmente nel settore della ristorazione. Accade ancora questo nella comunità cinese o si profilano dei cambiamenti?”

“Come le dicevo, oramai di cinesi ne arrivano pochi ed è cambiata l’idea stessa di genitorialità all’interno della comunità cinese. Ci sono molte associazioni di cinesi sul territorio italiano, anche qui a Torino, come ad esempio l’Associazione italo-cinese Zhi Song – alla quale dobbiamo tra l’altro il video realizzato nel corso del primo lock-down e diventato virale, dal titolo Noi rimaniamo (Women liuxia 我们留下) – ma anche altre a Milano e altrove, che stanno facendo un grosso lavoro rispetto al tema della genitorialità. Io stessa ho degli amici, che non sono più dei ragazzi, ma da figli di emigrati italiani in Francia o in Germania hanno passato tutta l’infanzia con i nonni mentre i genitori erano all’estero, a lavorare per un futuro migliore; tornavano poi in estate, e una persona in particolare mi raccontava del disagio provato di fronte a questi due sconosciuti che piombavano per una stagione e poi ripartivano. È una mentalità che a noi oggi sembra lontanissima e inconcepibile ma che ha attraversato molte comunità di migranti, caratterizzando molti fenomeni migratori, non soltanto quello cinese. Direi che oggi è una pratica quasi totalmente scomparsa, appunto perché di cinesi ne arrivano molti meno ed è cambiato il rapporto con i figli, diventando la genitorialità più consapevole. In alcuni casi, le famiglie fanno imparare il cinese ai loro figli in quanto ritengono che sia una lingua utile, perché così possono comunicare con la famiglia, però frequentano le nostre scuole, qualche volta in alcuni casi frequentano dei doposcuola cinesi. Sono situazioni molto stratificate perché dipendono anche dal livello di integrazione, dal livello culturale della famiglia e dal luogo in cui vivono. Esistono, quindi, moltissime varianti che non permettono di affrontare la questione in senso troppo generale.”

Cinesi in Italia – Video Primo capitolo

Cinesi in Italia – Video Secondo capitolo

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(Pubblicato il 21-01-2022)