Gianfranco: le radici degli sradicati

«A Saint-Martin-de-Corléans c’è stata l’accettazione di una cultura estranea, che poi si è radicata ed è riuscita a creare qualcosa, a svilupparlo. È una forma di rinascenza artistica, il risultato dell’apporto di persone che hanno scelto di muoversi in un altro territorio e lì hanno creato qualcosa di estremamente duraturo».

Gianfranco Zidda, archeologo, è il responsabile scientifico dell’Area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans ad Aosta. Il sito archeologico è stato scelto per il lancio del Portale Immigrazione VdA: questo è un luogo di migrazione?

«Così sembra: in quest’area pare sia giunta una cultura non locale, portando conoscenze che per l’epoca erano avanzatissime. Cercavano probabilmente il metallo, per mettere a frutto le eccezionali tecniche metallurgiche che avevano. E hanno usato quelle conoscenze per sviluppare il luogo, creando anche le stele antropomorfe che sono state ritrovate».

Che cosa ci raccontano le stele di quella cultura?

«Erano probabilmente un’espressione non solo artistica, ma anche spirituale. Arrivati in Valle d’Aosta, quegli uomini hanno comunicato le proprie idee e le proprie tradizioni: queste hanno preso la forma di sculture di pietra che ricordano la figura umana, legate sicuramente a un senso della religiosità che abbiamo completamente perduto. Che cos’è la loro forma esterna? Quella di antenati, di essenze divine? Ancora oggi non lo sappiamo».

Un luogo di radici, insomma, per frutti di cui non conosciamo il sapore.

«Chi arriva trova sempre qualcosa: per loro erano probabilmente le risorse del territorio, forse esaurite dove vivevano. Qui trovano il metallo, ma trovano anche qualcosa che richiama il loro paese. E i ritrovamenti affini di Sion, in Svizzera, raccontano di gruppi abituati all’ambiente montano: ci sono le tracce del ricordo di qualcosa che abbiamo perduto. Questo luogo è la radice degli sradicati che cercano qualcosa».

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(Pubblicato il 08-11-2018)